NAPOLI – Corsi e ricorsi storici. Dopo conquiste, trattati di alleanza, annessioni
territoriali si pensava che la carta politica della penisola italiana fosse
stata consolidata una volta per sempre. Invece, stando agli ultimi
provvedimenti proposti dal decreto sulla spending review, varato dal supercommissario
del governo Monti, Enrico Bondi, la
definizione politica e strutturale dell’Italia rischia di cambiare nuovamente.
Il decreto dovrà portare al paese un risparmio di 4/5 miliardi di euro
quest’anno per arrivare ad
un massimo di 10 miliardi ed
evitare l’aumento dell’Iva previsto per due punti percentuali già a partire da
ottobre, trovare fondi per finanziare gli interventi nelle zone terremotate e
risolvere il problema degli ‘esodati’. Cause nobili che fanno da cornice ad
un’altra mossa “salva Italia”, che, paradossalmente, lascia il paese un bel pò
perplesso. Punto dolente per le province e le circoscrizioni giudiziarie, che
verranno ridotte in misura drastica. Il piano prevede, infatti, la soppressione
delle province che non soddisfino almeno due dei requisiti previsti, ossia una
popolazione superiore ai 350 mila abitanti, un’estensione superiore ai 3 mila kmq
ed oltre 50 Comuni. Interessate dalla sforbiciata dovrebbero essere 53 province
a statuto ordinario, per cui dalle 107 attuali si passerebbe ad un numero
effettivo di 54. In sostituzione alle province ‘soppresse’ ci saranno le ‘città
metropolitane’. Quadro di certo sconcertante, aggravato dall’interrogativo che
assilla un po’ tutti: conviene davvero dimezzare le province? Risposta ardua se
si pensa a tutti quei dipendenti dell’amministrazione provinciale da
ricollocare nelle ‘super-province’ o negli organi comunali, il cui costo è pari
a 2 miliardi e più di euro. Senza poi contare che le nuove super-mega-province, accorpando
quelle tagliate, continuerebbero ad esercitare le stesse funzioni su un
territorio più vasto, occupandosi di rete stradale e pianificazione ambientale,
e rendendo ancora più complicato il controllo territoriale. Tagli? Meglio parlare
di passaggi di competenze da organi ‘diversificati’ a uffici ‘accorpati’ in
unità. Si tornerebbe ad annessioni e risucchi, che, al di là del ‘risparmio’,
sopprimerebbero l’identità di alcuni popoli. La Campania vedrebbe soppressa la
provincia di Benevento, che si potrebbe accorpare al Molise, regione ‘mono
provincia’ con la sola Campobasso, in un’unica entità: il ‘MoliSannio’. La
provincia di Latina ritornerebbe nel Frusinate. Via anche la neonata provincia
Barletta-Andria-Trani, che ritornerebbe a fare i conti con le ‘province madri’
di Bari e Foggia. La Calabria vedrebbe smembrare Crotone e Vibo Valentia; la
Sicilia Trapani, Enna, Siracusa, Ragusa e Caltanissetta. Tagli anche a circa
una trentina di tribunali, insieme a 37 procure e 220 sedi distaccate ed il
trasferimento delle funzioni di tutte le amministrazioni periferiche di una
Regione agli uffici territoriali del Comune capoluogo. Anche qui si parlerà di
‘super-prefetture’ con un risparmio stimato per i prossimi due anni di circa 51
milioni e 500 mila euro, sebbene nessun taglio sia previsto per magistrati e
personale amministrativo. Caso forte è quello delle sedi giudiziarie di
Castrovillari, Lamezia Terme, Paola e Rossano, che rischiano la chiusura. Colpa
della titubanza di forze politiche sempre più divise in comuni interessi, la
cui posizione di rifiuto si mostra sempre troppo tardi, contro, invece, le
decisive posizioni prese dai vescovi calabresi, già da maggio, per tutelare una
terra sempre più afflitta da ‘rivolgimenti’ interni. Il caso di Lamezia Terme
ha lasciato dubbioso anche il vice presidente del Senato Vannino Chiti, il quale ha invitato a ragionare su una soppressione
che potrebbe incentivare gli episodi di attentati mafiosi. Verrebbe ancora di
più rimarcata la difficoltà a soffocare un male quanto mai radicato nel
territorio calabrese, come la mafia, e sarebbe ancora più arduo il dovere di
sopprimerlo. Ancora più intasamenti in un sistema giudiziario, come quello
italiano, che stenta a funzionare nel modo più efficiente e veloce possibile.
Lunghe file, interminabili attese per vedersi ancora più distanti dal centro di
potere. Tagli che
incrementeranno la rabbia del 10% dei dipendenti pubblici sforbiciati, del
mondo sanitario e non solo, figli di un debito pubblico che portiamo sulle nostre
spalle, come una sorta di male esistenziale, uno spleen baudelairiano sempre più oppressivo che ci segna sin dalla
nascita e che ci domandiamo a questo punto se valga la pena pagare.
FRANCESCA CAMPAGNIOLO
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