NAPOLI - "Chist'è 'o paese d' 'o sole, chist'è 'o paese d' 'o
mare…" nelle parole di Libero Bovio si sente il fragore delle onde che si scontrano
contro le spiagge del golfo di Napoli. L’affezione dei campani al mare è spesso
causa di poca obiettività nel valutarlo, ma quando a dar ragione sono degli
imparziali danesi, la soddisfazione è comprensibile. La Fondazione
internazionale per l’educazione ambientale assegna ogni anno le “Bandiere blu”,
con cui si intende premiare il connubio tra mare pulito e servizi turistici
ottimali di località balneari di tutto il mondo (accettando delle candidature
che provengono dalle località stesse): un tale vessillo in termini di marketing
è di un certo peso. Ma evidenziando solo gli alti del territorio campano, non
mostra una panoramica su quelle che sono invece le problematiche. In questo, è
l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente Campania, a venirci in aiuto con il
monitoraggio di tutte le acque di balneazione campane. Tra le luci più
brillanti, mettendo insieme tutti i dati, sono da osservare le coste del
Cilento (premiata ancora una volta la Castellabate conosciuta dal grande
pubblico con Benvenuti al Sud),
l’entrata tra le bandiere blu di Anacapri che attesta l’arcipelago campano come
una delle perle che rende Napoli la capitale del Mediterraneo, e la rivalsa del
litorale domitio, per Arpac al 90% balneabile. Le ombre non mancano: la più grande
è la foce del fiume Sarno. La mancanza di un sistema fognario efficiente, il
mancato smaltimento degli scarichi domestici e industriali della zona prossima
al fiume l’ha portato a essere uno dei fiumi più inquinati d’Italia. Così,
tutta l’area costiera da Torre del Greco a Castellamare di Stabia, è
impraticabile. Ombre, però, anche nelle valutazioni della Fee. L’organizzazione
assegna una delle 13 bandiere blu ad Agropoli, che presso la foce del fiume
Testene presenterebbe, per l’Arpac, una presenza di coliformi fecali oltre la
soglia prevista dalla normativa vigente. La Fee non se ne è forse accorta? Questa è un’ombra nella valutazione che andrebbe quantomeno spiegata dalla fondazione: i dati danno un informazione distorta all’utente che li utilizza, a vantaggio, forse, di un qualche amministratore. Certamente non a vantaggio del buon senso.
SALVATORE FAVENZA
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