TRAPANI - Rabbia
assordante, giustizia quasi silente. Il patteggiamento salva Fabio Gulotta
dall’esigua pena di due anni per aver travolto ed ucciso con la sua auto
un’intera famiglia la sera del 15 gennaio 2011. Strage, ingiustizia, rabbia.
Una sequenza che torna troppo spesso a ripetersi e a ribadire la damnatio incessante delle stragi al
volante. Triade dannata, quasi scontata, che, tuttavia, risuona assordante
quando ad essere sterminata è un’intera famiglia, quella dei Quinci, assaltata da un giovane 22enne alla guida di una Bmw,
mentre ritornava alla propria abitazione di Campobello di Mazara, in provincia
di Trapani. Baldassare Quinci, maresciallo dell’aeronautica militare, alla
guida di una fiat 600, viene travolto da un impatto con l’auto del giovane
Fabio Gulotta, perdendo la moglie, Lidia Mangiaricina, e i figli, Martina e Vito,
rispettivamente di 12 e 10 anni. Solo il capofamiglia sopravvive all’impatto,
seppure gravemente ferito, riscontrando seri danni alla colonna vertebrale. Lo
corrodono a poco a poco la mancanza e il rimpianto della sua famiglia
distrutta, nonché l’indignitosa accusa. Gli inquirenti, infatti, gli contestano
un concorso di colpa, in quanto non si sarebbe fermato allo stop. Un’accusa a
cui non riuscirà a sopravvivere e che lo porterà al suicidio sei mesi dopo la
strage. Non basta, però, la condanna del
giovane Gulotta a
riscattare il peso di quattro vite distrutte: accusato di omicidio colposo
plurimo, viene condannato a soli due anni. Oltre il danno, anche la beffa. La pena
viene sospesa per patteggiamento. Questa la decisione presa dal tribunale di
Marsala, che ha accettato la richiesta dei difensori del giovane, nonostante
l’omicida guidasse oltre il limite di velocità e con un tasso alcoolico
superiore ai limiti, seppure di poco, permettendogli di non trascorrere neanche
un giorno in carcere, evitando, inoltre, il ritiro della patente. L’auto,
infatti, viaggiava ad una velocità di circa 120 Km/h, ben oltre il limite
consentito per le piccole stradine del paese, e con un tasso alcoolico pari a 0,72 grammi. Una decisione che arriva in un clima
di forte sfiducia per la giustizia italiana, soprattutto in seguito ai numerosi
casi di omicidi impuniti. Accuse e condanne facili, tuttavia sempre
incomprensibili e per la brevità della pena e per la facilità nell’essere
aggirate. Ci si domanda se e perché capitino episodi del genere: risposta
semplice quando ci si sofferma sull’immaturità e la sconsideratezza, ma ardua
se a rendere perplessi è la giustizia che non riesce a mettere in pratica la
sua “morale”. Si sente già da tempo di pirati della strada rilasciati dopo pochi
mesi di reclusione, stupratori lasciati a piede libero, ricattatori che
violentano la libertà altrui, seminando terrore tra i semplici cittadini. Si
risponde con la debolezza, ma allo stesso tempo il coraggio di mettere fine
alla propria vita esasperati dalla brutalità di un reato subìto. La sensazione
di essere lasciati soli dalle istituzioni genera un forte senso di sconforto
che induce la maggior parte delle vittime a preferire la morte, perché il
ricordo lacera più in profondità del dolore. In altri casi, però, alla sentenza
ingiustificata segue la rabbia di quanti ancora sperano in una condanna ai loro
occhi scontata. Rabbia che invade chiunque si trovi anche solo ad ascoltare un
simile episodio di tracotanza portato alle estreme conseguenze. Non c’è però la
punizione dall’alto, il deus ex machina
che dovrebbe intervenire alla fine della tragedia. O meglio, c’è, ma solo
concettualmente, finendo per far svanire lo scettro di Atena guerriera in un
vuoto concetto che non fa altro che legiferare senza punire. Rabbia dei
familiari che vedono i loro figli e cari travolti dello spettro di un assassino
dichiarato, che, per essere tale, si trova a scontare la sua pena al di fuori
del carcere. Perplessità in quanti osservano con distacco interessato stragi simili,
che non hanno fine con la parola ‘giustizia’, mentre cresce sempre più la
convinzione di essere soli, lasciati in balia di un pendolo tra vendetta e
suicidio.
FRANCESCA CAMPAGNIOLO
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