Vanessa Scialfa
ENNA - I moventi possono essere tanti dalla sorda invidia alla passione disperata, dall'amore folle all'ossessione spietata, o da vecchi rancori a dissapori mai chiariti. Il movente può essere sociologico o di carattere privato, cioè rintraccibile nella sfera familiare. Nulla, nessuna analisi criminologica, nè psicologica giustifica la brutalità con cui sono stata assassinate Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea e Vanessa Scialfa. Scrivo da figlia, da cugina, da potenziale fidanzata. Questo lungo articolo lo scrivo indossando gli abiti di una moglie che si trova ad arginare l'ira funesta di un "pelide" marito imbecille, di un compagno impotente. E' la foto di Vanessa a farmi montare la rabbia. Una rabbia sorda, ma non criminale. Vanessa è soltanto l'ultima. Una ventenne innamorata del proprio convivente che la strangola sotto effetto della cocaina. Francesco Mario Lo Presti ha confessato di averle stretto la gola con il cavo del lettore Dvd. L'ammissione è arrivata dopo un raggiro degli inquirenti. A scatenare la furia omicida dell'uomo di quindici anni più grande di lei sarebbe stato un nome. Un solo nome. Poi, come impone il codice penale, ha dichiarato di aver assunto cocaina, ma si attende l'esito delle analisi per accertare la presenza di stupefacenti o alcool nel suo sangue. Quella di Lo Presti è stata una lunga e particolareggiata confessione, giunta al termine di un interrogatorio durato per alcune ore. Secondo il racconto dell'uomo la ragazza in un momento di intimità avrebbe pronunciato il nome del suo ex fidanzato. Per morire basta pronunciare un nome. Lo Presti avrebbe cominciato a inveire e Vanessa si sarebbe alzata dal letto e si sarebbe vestita, forse con l'intenzione di andare via da casa. L'intenzione era quella di scappare prima di poter subire la sua violenza. A questo punto Lo Presti - come ha raccontato egli stesso ai poliziotti - avrebbe assunto la cocaina e vedendo la compagna che stava per uscire avrebbe strappato i cavi del lettore Dvd e l'avrebbe strangolata, annodandole i fili al collo e spingendola sul letto. E' dal ventiquattro aprile che il padre di Vanessa ha denunciato la scomparsa. Ore di attesa per scoprire che sua figlia è stata uccisa dall'uomo che amava per aver nominato un ex fidanzato. Sono dodici donne uccise nel nostro Paese in questi primi mesi del 2012.
Melania Rea
Uccise a Ragusa, Civitanova Marche, Putignano, Marano, Monza, Trapani, Avellino, Ferrara, Milano, Trento. Uccise con armi da fuoco, con percosse, strangolate, soffocate, gettate dalla finestra, incendiate. Donne uccise dal marito, dal fidanzato, dal convivente, dal "cliente", dall'ex marito, dall'ex fidanzato, dal padre o dal genero. Donne uccise da un uomo. Omicidi commessi non per gelosia, non per follia, non per disperazione. Le cause di questi omicidi hanno radici ben più profonde. Non sono episodi isolati né storie eccezionali. Si tratta di violenza di genere, ed è un fenomeno tanto diffuso quanto dimenticato. L'associazione Frida, impegnata da anni a contrastare la violenza sulle donne, rende noti dei dati raccapriccianti: nel 2010 le donne uccise sono state 127; in cinque anni - dal 2005 al 2010 - sono state uccise 650 donne. Nel 2011 si stima - sulla base delle notizie riportate dai media - che le donne uccise siano state 137. Sono numeri di donne barbaramente ammazzate. Le considerazioni vengono spontanee. Si dovrebbe ritornare al femminismo, ai gruppi di autocoscienza, alle lectio magistralis di Virginia Woolf, ai libri "Sputiamo su Hegel" o a "La mistica della femminilità". E quando qualche accademico ci viene a propinare che la differenza di genere non esiste, che siamo tutti uguali, allora il gentil sesso dovrebbe insorgere con statistiche alla mano. Ricordo Veronica Abbate, uccisa a Mondragone nel 2006. I suoi occhi azzurri, il suo viso angelico e lo sguardo disperato dei genitori dinanzia al criminale che l'ha assassinata. Era il suo ex. Un maresciallo della Guardia di Finanza, uno che, stando agli avvocati, proveniva da un ambiente bene, quello della Mondragone che conta. Un assassino in divisa. Il giovane costituitosi subito dopo l'omicidio è tutt’ora in carcere. La famiglia di Veronica e i suoi amici portano avanti la loro battaglia affinché gli venga inflitta la giusta pena senza sconti e attenuanti. In Assise Mario Beatrice aveva ricevuto 30 anni ma successivamente, in Appello, la pena da scontare si è quasi dimezzata (18 anni). Oltre al danno anche la beffa.
Assunta Ferretta
Nessun commento:
Posta un commento