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venerdì 16 dicembre 2011

Il pasticcio Minzolini e l'ennesima figuraccia della politica


ROMA - Augusto Minzolini se n'è andato. Il più contestato tra i direttori (secondo, forse, solo a Bruno Vespa e ad Emilio Fede) per le sue posizioni filo governative è stato rimosso dalla direzione del principale telegiornale italiano per volontà del Direttore Generale Lorenza Lei. Il motivo è l'accusa di peculato che è stata rivolta dalla Procura di Roma per via di alcune note spese poco chiare. Volendo stringere limitandoci ai fatti, Minzolini non si è attenuto alle regole fissate dal regolamento aziendale che prevede, in caso di pranzi di lavoro, di indicare i nomi dei commensali a cui si è offerto il pranzo. Minzolini non ha indicato i nomi delle sue fonti rivendicando, il sacrosanto diritto alla riservatezza delle "gole profonde". Niente da fare. Così la Lei ha potuto azionare la ghigliottina spalleggiata dal Presidente Paolo Garimberti che nella riunione del Cda ha approvato, con voto decisivo data l'astensione del centrista Rodolfo De Laurentiis, la defenestrazione del direttorissimo. Ora, si dirà, cosa c'importa di tutto questo? Ci importa, visto che gli italiani tutti, da nord a sud, sono costretti a pagare la più iniqua delle tasse, il canone televisivo, o tassa sul possesso della televisione. Giacché pago, voglio sapere quello che succede (sarebbe più giusto abolire questa assurda tassa vista la montagna di pubblicità che la Rai ci propina ma, in tempo di governi tecnici, le tasse si possono solo alzare e sempre tra una folla di cittadini festanti). La defenestrazione di Minzolini, al di là di come la si possa pensare politicamente è una porcata che costerà caro soltanto  ai cittadini. Minzolini non ha commesso alcun reato. Si è limitato a tutelare le fonti così come avevano già fatto i due suoi predecessori Clemente J. Mimum, oggi alla direzione del Tg5, e Gianni Riotta, finito a dirigere il Sole 24 Ore. Nessuno dei tre ha indicato i nomi dei commensali. Minzolini è stato accusato e ha perso il posto. Non ci sta a cuore Minzolini al punto da scrivere un articolo in sua difesa. Non ne ha nemmeno bisogno, sicuramente sa difendersi da solo. Quello che ci preme, è fare una previsione e poi una constatazione. Minzolini non accetterà supinamente il licenziamento dalla direzione del Tg1 e il trasferimento a New York. Farà ricorso al giudice del lavoro. Il giudice del lavoro lo reintegrerà visto che Minzolini ha rispettato il diritto alla riservatezza dei suoi ospiti e ha, oltretutto, versato alla Rai i soldi dei famosi pranzi con "sconosciuti". Scatterà il reintegro e, presumibilmente, la richiesta di archiviazione presso la Procura. Scatterà, è praticamente certo, anche la richiesta di risarcimento. Non la pagheranno né la Lei, né Garimberti, né i consiglieri di amministrazione, bensì tutta la cittadinanza. Ai posteri l'ardua sentenza sulla previsione. La constatazione riguarda invece la debolezza della politica. Se i consiglieri di amministrazione della Rai, tutti politici, avessero preso una decisione chiara in un senso o nell'altro non ci sarebbe niente da eccepire. Invece no. Anche su una situazione, tutto sommato, "tranquilla" si è generata la palude politica. Il centrodestra ha votato contro il licenziamento ma si è prontamente fiondato alla corte del nuovo direttore ad interim Alberto Maccari (vicedirettore del Tg1 dal 1994 al 2007, praticamente un tecnico per tutte le stagioni, come quelli che vanno, poveri noi, tanto di moda!). Il centrosinistra ha votato contro il Servo dell'Orco di Arcore mentre l'unico consigliere Udc si è, democristianamente, astenuto consentendo al Presidente Garimberti di esprimere un voto dal valore doppio (alla faccia della democrazia anche nella Rai) e consentendo, nei fatti ma senza assumersene la responsabilità, la cacciata di Minzolini. Insomma, un'altra pagina brutta per la politica. Un'altra pagina nera di questa Ita(g)lietta liberale da 4 soldi.

Paolo Luna

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