Periodico di attualità, politica e cultura meridionalista

sabato 30 giugno 2012

Real Sito di Carditello, il 7 e l'8 luglio l'apertura straordinaria


CASERTA - Sabato 7 e domenica 8 luglio verrà riaperto, straordinariamente, il Real Sito di Carditello nel Comune di San Tammaro per una serie di visite guidate e manifestazioni che permetteranno di rimettere in luce la “questione Carditello“, oramai all’approssimarsi dell’imminente data del 12 luglio, in cui è prevista l’asta giudiziaria per la vendita. La due giorni sarà un’occasione per visitare parte del complesso, ammirandone le fattezze, riflettere sullo stato in cui versa, purtroppo oggi, e partecipare in modo diretto o indiretto all’azione collettiva di persone, associazioni, enti e imprese coordinate da Agenda 21 per Carditello in collaborazione con il Consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno.

C.S.

Il blu e il nero. E' tutto oro quello che luccica?


NAPOLI - "Chist'è 'o paese d' 'o sole, chist'è 'o paese d' 'o mare…" nelle parole di Libero Bovio si sente il fragore delle onde che si scontrano contro le spiagge del golfo di Napoli. L’affezione dei campani al mare è spesso causa di poca obiettività nel valutarlo, ma quando a dar ragione sono degli imparziali danesi, la soddisfazione è comprensibile. La Fondazione internazionale per l’educazione ambientale assegna ogni anno le “Bandiere blu”, con cui si intende premiare il connubio tra mare pulito e servizi turistici ottimali di località balneari di tutto il mondo (accettando delle candidature che provengono dalle località stesse): un tale vessillo in termini di marketing è di un certo peso. Ma evidenziando solo gli alti del territorio campano, non mostra una panoramica su quelle che sono invece le problematiche. In questo, è l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente Campania, a venirci in aiuto con il monitoraggio di tutte le acque di balneazione campane. Tra le luci più brillanti, mettendo insieme tutti i dati, sono da osservare le coste del Cilento (premiata ancora una volta la Castellabate conosciuta dal grande pubblico con Benvenuti al Sud), l’entrata tra le bandiere blu di Anacapri che attesta l’arcipelago campano come una delle perle che rende Napoli la capitale del Mediterraneo, e la rivalsa del litorale domitio, per Arpac al 90% balneabile. Le ombre non mancano: la più grande è la foce del fiume Sarno. La mancanza di un sistema fognario efficiente, il mancato smaltimento degli scarichi domestici e industriali della zona prossima al fiume l’ha portato a essere uno dei fiumi più inquinati d’Italia. Così, tutta l’area costiera da Torre del Greco a Castellamare di Stabia, è impraticabile. Ombre, però, anche nelle valutazioni della Fee. L’organizzazione assegna una delle 13 bandiere blu ad Agropoli, che presso la foce del fiume Testene presenterebbe, per l’Arpac, una presenza di coliformi fecali oltre la soglia prevista dalla normativa vigente. La Fee non se ne è forse accorta? Questa è un’ombra nella valutazione che andrebbe quantomeno spiegata dalla fondazione: i dati danno un informazione distorta all’utente che li utilizza, a vantaggio, forse, di un qualche amministratore. Certamente non a vantaggio del buon senso.

SALVATORE FAVENZA

Grotta del Sangue, 4 sub romani morti a causa di un crollo

L'interno della Grotta del Sangue, luogo della tragedia

PALINURO - Quattro sommozzatori romani sono morti, sabato mattina, a Palinuro, mentre erano impegnati nell'escursione della celebre Grotta del Sangue. Chiamata così per via della caratteristica alga rossa che, crescendo sulle pareti interne della grotta rende l'ambiente meravigliosamente "macabro". La grotta, uno dei siti naturali più belli e apprezzati del Cilento, ha fatto da scenario ad una tragedia. Protagonisti un gruppo di sub laziali che sono rimasti intrappolati in una stanza della grotta a causa di un improvviso crollo che li ha isolati dal resto del gruppo e ne ha causato la morte nonostante il pronto intervento dei Vigili del Fuoco che hanno tentato, in ogni modo, di liberare l'accesso. Roberto Navarra, a capo del gruppo, è stato portato in ospedale in stato di choc.

red. cro.

Sicilia in rosso, l'allarme della Corte dei Conti


PALERMO - Nel corso dell’udienza pubblica svoltasi a Palermo ieri, la Corte dei Conti ha diffuso le cifre del bilancio della Regione Sicilia relative all’anno 2011, rivelando un aumento dei residui passivi, cioè i debiti per spese già impegnate ma non ancora pagate, da 5 a 7 miliardi di euro. La Corte ha manifestato “preoccupazione per il contributo agli obiettivi di finanza pubblica richiesto alla Regione con oneri stimati pari a circa 850 milioni per il 2012 e circa 900 milioni per gli anni 2013 e 2014, da scontare nel patto di stabilità”. La presidente della Corte, Rita Arrigoni, ha definito il quadro attuale “allarmante con un debito regionale in continua crescita che tra novembre e dicembre 2011 ha visto attivare nuovi prestiti per 818 milioni di euro, determinando una complessiva esposizione a fine anno per circa 5 miliardi e 300 milioni, un debito destinato a salire malgrado l'impugnativa del commissario dello Stato”. Una situazione preoccupante, i cui dati sono stati definiti dalla stessa Corte “segnali di inarrestabile declino” di cui pagano inevitabilmente il prezzo le imprese, che tra il 2007 e il 2011 sono diminuite di ben 4500 unità, conferendo alla Sicilia il triste primato della regione del Mezzogiorno che ha perso più imprese attive. La presidente Arrigoni ha poi sollecitato "un sostegno alla Sicilia da parte del governo nazionale, come si va prospettando in ambito europeo per gli Stati in pericolo di default".  Infatti, dichiara ancora la presidente, "senza adeguati mezzi finanziari i siciliani non potranno sottrarsi alla rassegnazione antica, che si traduce in forza di attrazione mafiosa e clientelare a disposizione dei prepotenti e dei potenti di ieri, di oggi e di sempre".

ANTHEA LAVINIA BOVE 


La sfida di Maroni, segretario con la ramazza

Il segretario con la ramazza...

MILANO – Seicento delegati per la resa totale di Umberto Bossi che dovrà assistere all’ascesa di Roberto Maroni quale nuovo Segretario “plenipotenziario” della Lega Nord. Una precisazione, quella sui pieni poteri, che sarebbe superflua ma che nella Lega va fatta. Il leader storico ha, fino all’ultimo, tentato di minare le basi d’azione del suo successore a cui passa lo scettro controvoglia e per motivi giudiziari, a causa delle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto la famiglia Bossi. Il congresso di domani segnerà una svolta storica con l’elettorato leghista profondamente colpito dalle indagini e dal crollo del mito padano che pare aver voltato le spalle al partito. Non la base storica ma gli acquisti che la Lega aveva fatto dal 2006 ad oggi. Nei sondaggi il partito è dimezzato (dal 9 al 4,5%) e il risultato delle ultime amministrative conferma un salasso senza precedenti in linea a quello che stanno subendo tutte le forze politiche. Alla fine la colpa del disastro è caduta interamente sulle spalle di Umberto Bossi il quale ha perso tutti i suoi più stretti collaboratori interni al partito, prima tra tutti quella Rosi Mauro considerata elemento imprescindibile del gruppo dirigente leghista con grande disappunto proprio dei maroniani che non hanno fatto molti complimenti prima di metterla alla porta. Il risultato politico dell’inchiesta ancora in corso è stato il dimezzamento elettorale della Lega e la carta bianca a Maroni che ha un compito difficilissimo davanti a sé. Entro pochi mesi si apriranno le urne e toccherà al nuovo Segretario decidere se la Lega sarà presente o no sulle schede elettorali. Se ci sarà, il tempo è poco per ricostruire un partito scosso e recuperare i voti persi. Già sarà tanto mantenere quelli di oggi e, a Maroni, serviranno i “pieni poteri”.

FAUSTO DI LORENZO


Caronte è su di noi, caldo da record fino alla prossima settimana


NAPOLI - Questo può senza dubbio definirsi il weekend di Caronte, l’anticiclone africano che già da venerdì soffia sulla penisola facendo raggiungere temperature superiori ai 35° nelle principali città italiane. L’estate che questo anno si è fatta attendere possiamo senz’altro dire che si sta facendo sentire già da alcune settimane arrivando appunto a temperature record. Per alleviare anche leggermente le conseguenze di un caldo eccessivo si consiglia di non esporsi al sole nelle ore più roventi della giornata soprattutto tra le 11.00 e le 18.00 cercando quindi di restare tra le mura domestiche il più possibile. Come sempre, suggeriscono gli esperti, è necessario bere tanta acqua, almeno un litro e mezzo al giorno, e mangiare frutta e verdura in modo da rimanere idratati reintegrando i liquidi persi durante la giornata. Si suggerisce anche di evitare di bere alcolici, caffé e bevande gassate indossando abiti freschi e leggeri. Indubbiamente sono gli anziani e i bambini a soffrire maggiormente. Infatti nel pisano, a Tirrenia, sono morti due settantenni a causa di un colpo di calore mentre erano in spiaggia. Ma si segnala anche la tragica scomparsa della 23enne Ida Correale, morta mentre stava prendendo il sole in piscina a Torre Annunziata, città d’origine della madre Patrizia che assieme al padre Paolo (noto ingegnere del Sert) vivevano a Sarno. Per evitare altri casi simili in numerosi comuni, come ad esempio Bologna, una delle città più colpite dall’afa, sono state attivate varie procedure per aiutare gli anziani che sono i primi a patire la morsa del caldo. Purtroppo una delle aree più colpite è quella emiliana già provata dal terremoto dello scorso 20 maggio. Gli sfollati ormai costretti a vivere nelle tendopoli percepiscono temperature fino ai 50° proprio perché al di sotto dei teli la calura è avvertita con temperature più elevate.  Anche in spiaggia, nonostante la brezza allevii la canicola, si subisce l’ingombrante presenza di Caronte che sembra non voglia abbandonare l’Italia almeno fino a martedì quando le temperature si abbasseranno leggermente rimanendo però sempre al di sopra della media stagionale. L’allerta meteo rimarrà quindi per tutto il fine settimana e per cercare di combattere il solleone ci si affida a qualche doccia in più e si attende con impazienza qualche pioggia rinfrescante.

MARTINA DRAGONE

L'EDITORIALE/ La "vittoria" di Monti che sembra tanto un cetriolo!


BRUXELLES – Attenti al cetriolo europeo che da Bruxelles sta per caderci sulla testa (se saremo fortunati). Alla folla gaudente, inebriata dalla doppietta di Mario Balotelli, che si è subito spesa in te deum per San Mario Monti da Bruxelles, chiedo cinque minuti per un ragionamento semplice semplice. Il Premier ha fatto le barricate, insieme all’omologo spagnolo, per mettere con le spalle al muro Angela Merkel palesemente innervosita dalla doppietta che ha buttato fuori dall’Europeo la sua Germania. Gioco deludente, forza sprecata davanti la porta, nessuna fantasia, terreno di gioco instabile, avversari discreti questi i motivi dell’insuccesso germanico in Polonia. Tutt’altra la musica che è risuonata al vertice europeo che si è trascinato fino alle 4:30 di mattina quando, un euforico Mario Monti ha suonato il canto della vittoria accreditandosi dentro e fuori i confini nazionali come l’Anti Merkel, ruolo che piacerebbe a molti leader europei. In realtà la tanto decantata vittoria di Monti altro non è che un cachet dato ad un malato terminale e basta osservare la dichiarazione di buone intenzioni stilata nella notte di Bruxelles. La Merkel non voleva gli eurobond, e gli eurobond non si faranno. Uno a 0 per Angela. La Merkel voleva mettere al sicuro le banche, prima di tutte la Deutsche Bank alle prese con il debito greco. Monti ha annunciato, felicissimo (e si può immaginare per quale motivo), del piano di ricapitalizzazione delle banche a rischio. Due a 0 per Angela. Non contenta la Merkel ha segnato due punti facendo approvare la trasformazione del fondo salva stati in embrionale istituto di credito, per la serie le banche che dominano. Quattro a 0 per la Germania. Capolavoro tedesco durante la notte del vertice. Non si è spesa una parola di pietà per la Grecia. Profittando dell’assenza di Samaras e del suo ministro dell’Economia per motivi di salute, l’Europa ha pensato bene di mettere dietro la lavagna il rappresentante del governo di Atene. Non si conosce il destino di un pezzo d’Europa (che diamo già per segnato intendendo l’uscita della Grecia dall’euro se non dall’Ue). Cinque a zero per la Merkel. E allora, la vittoria di Monti dov’è? Dimenticavo lo scudo anti spread, grande idea del Presidente del Consiglio italiano che su assist di Manuel Rajoy, come una ballerina di tip tap, si è issato sulle punte e ha pestato i piedi fino a quando Angelona non ha firmato la resa. Risultato finale 5 a 1 per la Germania. Da luglio esisterà un non meglio identificato scudo anti spread a cui gli stati potranno ricorrere. Attenzione, però. Per ricorrere al salva spread lo stato dovrà avere i conti in regola e il pareggio di bilancio in linea con l’Austerity prussiana.  Non a caso la prima dichiarazione di Monti nel day after è stata: “L’Italia non ricorrerà allo scudo anti spread”. Avrebbe dovuto dire “L’Italia non può ricorrere allo scudo anti – spread” ma sarebbe sembrato un autogol al 92° minuto. 

ROBERTO DELLA ROCCA

Emergenza rifiuti in Calabria, pronto il piano per l'estate


COSENZA - Alla fine è arrivato il tanto atteso piano relativo all’emergenza rifiuti in Calabria per l’estate in corso: presentato dal commissario delegato per l’emergenza ambientale nella regione, Vincenzo Speranza, sarà già attivo dal 2 luglio e si prolungherà fino al 15 settembre, con discariche ed impianti aperti anche il sabato e la domenica. Nel territorio cosentino la discarica di Cassano allo Ionio riceverà i rifiuti di altri diciassette comuni e quella di san Giovanni in fiore, gestita dal consorzio ‘Valle Crati’, potrà essere usata da diversi comuni della provincia. A Scalea si aprirà una stazione di trasferenza, così da alleggerire l’impianto di Rossano dai conferimenti di rifiuti, che avevano creato lunghe file di camion già durante l’estate scorsa. Si incentiverà l’uso di altri impianti nel crotonese, come quello della Sovreco e di Scala Coeli, in seguito, alle indagini circa le possibilità di utilizzo. Previsto anche un sensibile alleggerimento del lavoro dell’impianto di Siderno con la riapertura della discarica di Casignana, sotto sequestro dal novembre 2011. Risposte di speranza anche per i lavoratori della Tec-Veolia, rassicurati sul loro futuro lavorativo dallo stesso commissario. Sarà dura risollevarsi per la regione calabrese, alle prese da tempo con sequestri e dissequestri, imputati e condannati, che hanno fatto del loro ‘regime’ una fonte di arricchimenti e traffici illeciti di rifiuti pericolosi. Crisi aggravata dal sequestro della discarica di Alli nel catanzarese, per cui è stato coinvolto Graziano Melandri, l'ex commissario per l'emergenza rifiuti in Calabria su presunti gravi illeciti in materia fiscale ed ambientale, e dall’ultimo di Pianopoli, nel maggio scorso, nel quale sono stati conferiti rifiuti provenienti dalla Campania. Crisi perciò prorogata di un altro anno in merito ai gravi dissesti idrogeologici che hanno interessato la regione negli ultimi anni e che lega, in una catena interminabile di emergenze rifiuti, il centro, a partire dal Lazio, passando per la Campania fino alla Sicilia. Con proteste per aree da tutelare, come il caso della discarica nel Lazio, nei pressi del sito Unesco di Villa Adriana, e l’attuale questione Pian dell'Olmo, sito provvisorio per la maxi discarica romana Malagrotta, fino all’esasperazione dei palermitani per i rifiuti sempre più ‘insormontabili’, si comprende come ormai il destino dell’essere sud sia diventato quello di vedere le proprie bellezze intrappolate in uno stato di emergenza senza fine. 

FRANCESCA CAMPAGNIOLO


Fini conta i suoi e non ride più: "Fli ininfluente"



ROMA – Partito che vai, disastro che trovi. Mentre la Lega Nord cambia volto e si butta verso il futuro con Maroni, il partito di Gianfranco Fini, Futuro e Libertà, con grande ritardo (forse irrecuperabile) si lecca le ferite e fa il punto della situazione dopo le amministrative. A fare mea culpa è stato il leader di Fli e Presidente della Camera dei Deputati che ha chiamato a raccolta i suoi per l’assemblea nazionale del partito. Un modo come un altro per contarsi prima delle vacanze estive, un modo come un altro per darsi appuntamento all’autunno quando, alla ripresa dei lavori della politica in vista delle elezioni alcuni nodi lasciati aperti dovranno essere risolti. Innanzitutto quello fondamentale dell’esistenza stessa del Fli e la sua collocazione nel mondo politico in vista delle elezioni politiche. Non c’è voluto un grande calcolatore a Fini per fare la conta dei presenti all’Assemblea Nazionale del suo partito sempre più mini. E, a quel punto, il mea culpa è stato inevitabile visto che Futuro e Libertà avrebbe dovuto intercettare i consensi in uscita dal centro destra che sono invece finiti nelle mani di Beppe Grillo o nell’astensione. E la colpa, di tutto il disastro, è esclusivamente del leader a cui si erano rivolti numerosi parlamentari (primo tra tutti il siciliano Fabio Granata) per farlo dimettere dalla Presidenza della Camera e riportarlo alla politica pura. L’idea di schiodarsi dalla poltrona non è piaciuta a Fini che è rimasto ancorato a Montecitorio dove resterà fino a fine mandato. Il partito è invece finito allo sbando e, dopo essere stato scaricato da Casini, non riesce ad intravedere di che colore sarà il futuro. Di alleanza con il Pdl non se ne parla. Con la Lega non esiste. Casini si è tirato indietro e lo ha denunciato lo stesso Fini: “Alle elezioni l’Udc non è cresciuto come Casini si aspettava ma è una difficoltà che ha riguardato anche noi. Il risultato non ci ha fatto sorridere e ha sottolineato una condizione di marginalità e, in certi casi, di ininfluenza. Non abbiamo intercettato un solo voto di astenuti e grillini”. L’alleanza col Pd pare improponibile. Rutelli è già diventato trapassato remoto. L’unica speranza di Fini è il listone Montezemolo (o Passera) dove potrebbe finire pur di salvare la propria carriera. “Lavoriamo tutti per verificare se è possibile la nascita di un polo riformatore, patriottico, europeo che sia capace di fornire agli italiani un serio progetto politico” le sue parole in attesa di vedere, nei prossimi mesi, cosa succederà.

MARIA SALVATI

lunedì 25 giugno 2012

Distruggi una famiglia? Due anni è la pena. Questa è la giustizia italiana



TRAPANI - Rabbia assordante, giustizia quasi silente. Il patteggiamento salva Fabio Gulotta dall’esigua pena di due anni per aver travolto ed ucciso con la sua auto un’intera famiglia la sera del 15 gennaio 2011. Strage, ingiustizia, rabbia. Una sequenza che torna troppo spesso a ripetersi e a ribadire la damnatio incessante delle stragi al volante. Triade dannata, quasi scontata, che, tuttavia, risuona assordante quando ad essere sterminata è un’intera famiglia, quella dei Quinci, assaltata  da un giovane 22enne alla guida di una Bmw, mentre ritornava alla propria abitazione di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Baldassare Quinci, maresciallo dell’aeronautica militare, alla guida di una fiat 600, viene travolto da un impatto con l’auto del giovane Fabio Gulotta, perdendo la moglie, Lidia Mangiaricina, e i figli, Martina e Vito, rispettivamente di 12 e 10 anni. Solo il capofamiglia sopravvive all’impatto, seppure gravemente ferito, riscontrando seri danni alla colonna vertebrale. Lo corrodono a poco a poco la mancanza e il rimpianto della sua famiglia distrutta, nonché l’indignitosa accusa. Gli inquirenti, infatti, gli contestano un concorso di colpa, in quanto non si sarebbe fermato allo stop. Un’accusa a cui non riuscirà a sopravvivere e che lo porterà al suicidio sei mesi dopo la strage. Non basta, però, la condanna del giovane Gulotta a riscattare il peso di quattro vite distrutte: accusato di omicidio colposo plurimo, viene condannato a soli due anni. Oltre il danno, anche la beffa. La pena viene sospesa per patteggiamento. Questa la decisione presa dal tribunale di Marsala, che ha accettato la richiesta dei difensori del giovane, nonostante l’omicida guidasse oltre il limite di velocità e con un tasso alcoolico superiore ai limiti, seppure di poco, permettendogli di non trascorrere neanche un giorno in carcere, evitando, inoltre, il ritiro della patente. L’auto, infatti, viaggiava ad una velocità di circa 120 Km/h, ben oltre il limite consentito per le piccole stradine del paese, e con un tasso alcoolico pari a 0,72 grammi. Una decisione che arriva in un clima di forte sfiducia per la giustizia italiana, soprattutto in seguito ai numerosi casi di omicidi impuniti. Accuse e condanne facili, tuttavia sempre incomprensibili e per la brevità della pena e per la facilità nell’essere aggirate. Ci si domanda se e perché capitino episodi del genere: risposta semplice quando ci si sofferma sull’immaturità e la sconsideratezza, ma ardua se a rendere perplessi è la giustizia che non riesce a mettere in pratica la sua “morale”. Si sente già da tempo di pirati della strada rilasciati dopo pochi mesi di reclusione, stupratori lasciati a piede libero, ricattatori che violentano la libertà altrui, seminando terrore tra i semplici cittadini. Si risponde con la debolezza, ma allo stesso tempo il coraggio di mettere fine alla propria vita esasperati dalla brutalità di un reato subìto. La sensazione di essere lasciati soli dalle istituzioni genera un forte senso di sconforto che induce la maggior parte delle vittime a preferire la morte, perché il ricordo lacera più in profondità del dolore. In altri casi, però, alla sentenza ingiustificata segue la rabbia di quanti ancora sperano in una condanna ai loro occhi scontata. Rabbia che invade chiunque si trovi anche solo ad ascoltare un simile episodio di tracotanza portato alle estreme conseguenze. Non c’è però la punizione dall’alto, il deus ex machina che dovrebbe intervenire alla fine della tragedia. O meglio, c’è, ma solo concettualmente, finendo per far svanire lo scettro di Atena guerriera in un vuoto concetto che non fa altro che legiferare senza punire. Rabbia dei familiari che vedono i loro figli e cari travolti dello spettro di un assassino dichiarato, che, per essere tale, si trova a scontare la sua pena al di fuori del carcere. Perplessità in quanti osservano con distacco interessato stragi simili, che non hanno fine con la parola ‘giustizia’, mentre cresce sempre più la convinzione di essere soli, lasciati in balia di un pendolo tra vendetta e suicidio

FRANCESCA CAMPAGNIOLO

domenica 24 giugno 2012

Crisi Siria-Turchia. Ecco perché l'Italia dichiarerà guerra a Damasco (a meno che...)

Una delle vignette del bravissimo Alfio Krancic, pubblicata qualche tempo fa su il Giornale.
Riassumeva, e riassume in pieno le contraddizioni della vicenda siriana

DAMASCO - Venti di guerra spirano dal Medio Oriente e c'è da scommetterci che entro l'inverno l'Italia si troverà in guerra con la Siria e, probabilmente, con l'Iran. La complessa situazione interna alla Siria, dove il Presidente Bashir al Assad non ha finora rischiato di fare la fine di Gheddafi, Ben Alì e Mubarak, è precipitata (è proprio il caso di dirlo) come l'aereo F-4 turco che è stato abbattuto dalla contraerea siriana. I fatti sono molto chiari. L'aereo turco in questione sorvolava il Mediterraneo orientale, nello spazio aereo e navale siriano. Dopo i consueti avvertimenti l'antiaerea siriana ha aperto il fuoco e abbattuto il mezzo. A conferma della tesi di Damasco il fatto che tutti i pezzi dell'aereo sono stati ritrovati lungo la costa siriana e non in mare aperto, in acque internazionali. Il risultato di questo errore di rotta turco? La martirizzazione di Ankara e, l'ormai probabile guerra alla Siria. Il Governo turco, guidato dall'inossidabile Erdogan, non ha perso tempo e ha subito fatto appello alla Nato, chiedendo assistenza immediata dopo "l'aggressione" subita dalla Siria ai sensi dell'articolo 4 dell'Alleanza.  Sembra di rivedere la storia del lupo e dell'agnello anche se la realtà, come spesso accade, ha superato la fantasia e rischia di diventare una vera e propria tragedia visto che il Governo inglese ha subito fatto sapere di considerare inaccettabile l'azione siriana ai danni della Turchia, ignorando volutamente i dati della realtà e falsificando la realtà. I mezzi di informazione ufficiali sposano la tesi dell'ormai prossima alleanza anti - siriana ma, è talmente evidente la storpiatura che perfino il Corriere della Sera è stato costretto sul suo sito a riconoscere che i resti dell'aereo sono stati trovati in acque siriane. Resta da domandarsi, a questo punto, cui prodest, a chi gioverebbe una guerra alla Siria. La risposta non è difficile. Una guerra dell'occidente alla Siria coinvolgerà sicuramente il regime dell'Ayatollah che ha solo Assad come alleato sicuro. Una guerra a Siria e Iran, avrebbe effetti disastrosi ma non potrebbe che concludersi con una sconfitta per i due Stati mediorientali. A quel punto la Turchia, che ha giocato la parte dell'utile idiota, potrebbe giovarsi direttamente dell'eliminazione dei suoi vicini più pericolosi per attuare quel piano di rinascita neo - ottomana teorizzata dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu e sposata da Erdogan che punta alla costruzione di una nuova Turchia strategica e fondamentale snodo energetico tra Asia ed Europa e capace di dominare i piccoli vicini mediorientali con la sua forza economica piuttosto che con l'occupazione militare. Erdogan è il nuovo punto di riferimento per il mondo arabo soprattutto dopo la rinascita dell'islamismo in Turchia e dopo le dure prese di posizione contro Israele. Le potenze occidentali, con la caduta della Siria e dell'Iran potrebbero finalmente avere accesso a quelle risorse petrolifere strategiche ma congelate dall'embargo e dall'oltranzista politica di Teheran, sottraendole automaticamente ad ogni tentativo di penetrazione della Russia e della Cina. Resta da vedere come l'Europa scenderà in campo. Già ai tempi della guerra contro Gheddafi la Germania della Merkel ha scelto di seguire la strada mitteleuropea abdicando ad ogni ruolo nel Mediterraneo a favore di Francia e Inghilterra e, c'è da scommetterlo, saprà fare altrettanto con la Siria pur assicurandosi una cospicua parte delle commesse di ricostruzione e di sfruttamento del petrolio iraniano. La Francia di Hollande non potrà tirarsi indietro. La Siria è, tradizionalmente, un paese a forte contaminazione francese. La Gran Bretagna, la prima a reagire in modo forte contro Assad dopo l'abbattimento dell'aereo turco, è già pronta a scendere in guerra. L'Italia di Monti e Napolitano? Farà peggio di quella di Prodi e Berlusconi (che sono intervenuti in Iraq, Libia e Libano come componenti di missioni "di pace" dell'Onu o della Nato). Dichiarerà guerra e manderà al massacro qualche migliaio di soldati (la maggior parte dei quali meridionali). Vantaggi? Nessuno per gli italiani. Molti per i signori tecnici che, proprio in quanto tecnici e professoroni, hanno studiato bene la lezione. L'articolo 60 della Costituzione italiana (modificato dall'articolo 3 della legge costituzionale n.2/1963) parla chiaro: "La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra". Conviene ai partiti prolungare forzatamente la legislatura? Considerata la bassa stima del popolo verso i politici e il rischio rappresentato da Grillo siamo certi che partiti, banche e centri di potere vario saranno ben lieti di poter sfruttare anche una guerra per restare ancorati al potere. Solo in due modi si scampa a questo scenario. O l'Iran si tira fuori dall'asse con Damasco e ritarda il suo coinvolgimento, oppure l'opinione pubblica italiana riesce a far sentire la propria voce in modo chiaro. Considerando che ci si scalda tanto per Italia - Inghilterra c'è poco da sperare e molto da temere.

FAUSTO DI LORENZO

Ai democratici piace pelosa. La cozza, naturalmente


MILANO - Non c'è nulla da fare. Da Nord a Sud, da est a ovest, la pelosa piace da morire agli amministratori Democratici. E' quanto risulta dagli ultimi sviluppi dell'inchiesta nata a Monza sulle tangenti relative all'area Falck - Marelli e nell'indagine Serravalle, in cui è coinvolto l'ex Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati che, a causa dell'indagine, ha dovuto abbandonare il partito dove ricopriva il delicato incarico di stretto collaboratore del Segretario Pierluigi Bersani. Tra le carte che sono sotto l'occhio dei Pubblici Ministeri monzesi Franca Macchia e Walter Mapelli, alcuni rimborsi di pranzi e cene che Penati e persone a lui vicine hanno accreditato a conto della Fondazione Fare Metropoli, fondata dallo stesso Penati all'epoca della sua esperienza amministrativa in città. La fondazione nacque per motivi culturali, studi e analisi che, in teoria, ricevendo soldi dei finanziamenti pubblici avrebbero dovuto garantire la stesura di rapporti e analisi in grado di supportare l'azione politica e amministrativa migliorando il lavoro della pubblica amministrazione. Nella pratica le cose sono andate molto diversamente. Tra il 2009 e il 2011, solo Penati ha accreditato sui conti della fondazione ben 20.000 euro tra aperitivi e cene, per coppie e gruppi, tutte consumate tra Milano, Varese, Sesto San Giovanni, Sabbioneta e Roma. Ci sono i 32 euro spesi all'autogrill di Caponago, i 51 euro per una sosta per 5 persone da Mc'Donalds, ma anche le più consistenti visite ai ristoranti "in". L'osteria "Da Mario" in piazza delle Coppelle, "dal Bolognese" in piazza del Popolo, "Ar Galletto" in piazza Farnese, al "Quirino", alla "Rampa", al "Palatium", alle "Grotte del Piccione" e al ristorante "Sapore di Mare", tutti nella capitale. Altre cene sono quelle milanesi al "Sorrisi e baci", al "Giacomo", al "Da Berti", alla "Trattoria Bargutta" e al "Raw Fish Cafè" dove, il 20 febbraio 2010, Penati e il suo accompagnatore hanno speso 164 per un pranzo a base di pesce tra cui le cozze pelose, che tanto vanno di moda tra gli amministratori democrats visto che il collega Michele Emiliano, Sindaco di Bari, è stato al centro della bufera proprio per 50 cozze pelose ricevute in un cesto natalizio dall'imprenditore Gerardo Degennaro. In totale, in tre anni, la fondazione di Penati ha incassato 419 mila euro di contributi statali di cui 51mila in contanti. Secondo i Pm "la Fondazione era un mero schermo destinato a occultare la diretta destinazione delle somme a Penati". E non solo all'ex Presidente della Provincia, che ha incassato più di 21.500 euro di rimborsi, visto che ci sono poco meno di 6.500 euro per sua moglie Rita Dileo e il doppio per l'ex portavoce del leader lombardo del Pd Franco Maggi. Insomma l'ennesimo caso di pessima politica ma di buon gusto culinario.

FRANCO SELVAGGI

mercoledì 20 giugno 2012

Con 155 sì, Lusi va in galera. Il palazzo si salva col voto palese


ROMA - Il voto palese, come previsto, affossa Luigi Lusi e salva il palazzo dall'ira popolare. Fino all'ultimo si è stati in bilico sulla tipologia di voto a cui si sarebbe sottoposta l'aula del Senato. Un problema non indifferente che rischiava di far saltare il Palazzo a causa degli effetti già annunciati. Lusi ci sperava e da giorni andava ripetendo che il voto segreto era l'ultima spiaggia per lui, un voto, quello segreto, a cui il Senato non avrebbe potuto sottrarsi perché da sempre, per prassi, di fronte alle richieste di arresto, le camere scelgono con voto segreto per lasciare libertà di coscienza ai propri deputati. Era già capitato con i deputati Papa e Cosentino. Recentemente il Senato ha salvato De Gregorio. Invece i responsabili dei partiti hanno giocato bene le proprie carte per sacrificare, sull'ara di Palazzo Madama, il collega Luigi Lusi di cui la Procura di Roma ha chiesto l'arresto cautelativo a margine dell'inchiesta sull'uso dei fondi della Margherita che, secondo la magistratura, sarebbero stati distolti dall'attività politica a vantaggio di interessi personali (di Lusi, Bianco e Rutelli che sono indagati assieme all'arrestato). A cominciare bene è stato il Popolo della Libertà che, a seguito di una riunione interna al gruppo parlamentare, ha scelto di non partecipare al voto, decisione subito sposata dall'ex alleato Lega Nord. Insieme Pdl e Lega dispongono al Senato della maggioranza assoluta dei seggi eredità della vittoria elettorale del 2008, non intaccata dalle scissioni di Fini che, alla Camera, hanno indebolito la vecchia maggioranza politica. L'uscita del centro destra è stato un avviso molto chiaro al centrosinistra, in particolare al Partito Democratico che non si è potuto tirare indietro alla sfida degli azzurri. Sia Follini che Zanda, che Serra hanno, uno dopo l'altro, espresso voto favorevole alla mozione della Giunta per le autorizzazioni che, all'unanimità, aveva approvato la richiesta della magistratura di arrestare Lusi. Insomma tutto sarebbe dipeso dalla tenuta del centrosinistra e la questione non era affar semplice. L'Italia dei Valori avrebbe votato per l'arresto anche a scrutinio segreto ma come avrebbe reagito il Pd, all'interno del quale sono numerosi gli ex membri della Margherita? Lusi, nei giorni scorsi non è stato silenzioso. Ha lanciato più di un avviso ai suoi ex compagni di partito avvisando che ne avremmo viste delle belle se fosse stato arrestato. In pratica, avrebbe inguaiato molte persone. Il voto segreto avrebbe salvato Lusi. Il voto palese lo avrebbe condannato all'arresto. Alla fine il Presidente del Senato, Renato Schifani, ha comunicato l'inizio delle votazioni con voto palese. Lusi aveva detto nelle sue dichiarazioni precedenti le operazioni: "Se si vota con il voto palese invito i miei amici a non votare contro l'arresto per evitare di finire sulle liste di proscrizione". Lo hanno accontentato. Sono stati 155 i favorevoli all'arresto, 13 i contrari e 1 astenuto. I contrari sono nomi noti, molti dei quali già alle prese con vicende giudiziarie. Tra questi i dissidenti del Pdl Diana De Feo (la moglie di Emilio Fede), Sergio De Gregorio, Marcello Dell'Utri, Piero Longo, Marcello Pera e Guido Possa. I senatori del gruppo Coesione Nazionale Valerio Carrara, Mario Ferrara, Salvo Fleres, Elio Palmizio e Riccardo Villari. Il repubblicano Antonio Del Pennino e Alberto Tedesco (ex assessore alla Sanità della Regione Puglia scampato anche lui agli arresti ed ex Senatore del Partito Democratico) entrambi iscritti al gruppo Misto. Si è astenuto l'ex leghista Piergiorgio Stiffoni e non ha votato Francesco Rutelli coinvolto nell'inchiesta della Procura di Roma. Subito dopo il voto, Lusi si è fatto consegnare dai funzionari dell'aula il registro dei votanti e i voti espressi, ha segnato alcune cose sulle carte e, dopo aver chiuso tutto nella borsa ha lasciato il Senato, senza proferire parola con nessuno, da una uscita secondaria per raggiungere la sua casa di Genzano. Nel frattempo la ratificazione dell'aula è arrivata alla Procura di Roma dove gli inquirenti hanno mandato le forze dell'ordine a prelevare Lusi nella sua abitazione. Prima di finire nelle mani dei finanzieri che lo avrebbero scortato a Rebibbia Lusi ha proferito qualche parola con i giornalisti che lo aspettavano al varco: "Ho ancora molto da raccontare ai Pm". Qualcosa ci dice che siamo solo all'inizio di una vicenda che farà tremare il palazzo per tutta l'estate.

ROBERTO DELLA ROCCA

Los Cabos e Rio, quando la stagnazione contagia la politica internazionale


LOS CABOS - La Germania di Angela Merkel è intenzionata a non fare sconti alla Grecia. Due erano le immagini che avremmo potuto utilizzare per riassumere, in grafica, la notizia. Nella prima la "culona" che siede con grazia e "delicatezza" sulla Grecia schiacciata dal peso dell'austerity prussiana. Nella seconda la vorace Cancelliera che manda giù un gustoso hot (greek) dog. Per evitare di scombussolare lo stomaco dei lettori abbiamo optato per la seconda strada e, panino fu. Le notizie arrivano direttamente dal Messico, a Los Cabos, dove i grandi della terra, riuniti attorno al tavolo del G20 hanno deciso di non decidere. Due gli appuntamenti che hanno affollato questo giugno nell'America Latina. Il G20 sull'economia in Messico e la conferenza internazionale sul clima in corso a Rio De Janeiro. Due fallimenti che si sovrappongono spietati e che fanno molto pensare sul futuro del pianeta. I grandi della terra hanno avuto più di qualche problema. La Cancelliera di Germania, forte della vittoria di Nuova Democrazia in Grecia, ha subito rialzato la posta con i colleghi europei. Nessuno sconto per la Grecia che dovrà applicare in via integrale e definitiva gli accordi stipulati con Bruxelles. Brutta notizia per la Grecia ma anche per gli altri Paesi d'Europa intenzionati a rivedere al più presto il fiscal compact che regola sul fuso economico di Berlino, le regole del gioco di tutti i membri della Ue. I più delusi sono stati il Presidente Francese Francois Hollande e il Premier Italiano Mario Monti che erano partiti per Rio pieni di speranza e torneranno a Parigi e a Roma con la borsa delle offerte vuota. Mario Monti è stato anche costretto a ingoiare l'umiliazione delle risate dei partner europei alla sua "geniale" proposta. Usare i soldi del fondo salva Stati per emettere Euro bond. "Un'aspirina" l'hanno subito ribattezzata gli altri capi di Governo consapevoli che, prima o poi, i fondi del salva stato finiranno e non è detto che Spagna, Grecia, Italia, Portogallo e Irlanda riescano a salvarsi con i fondi stanziati finora. L'altro grande sconfitto è Barack Obama che ha deciso, dopo la svolta rigida della Merkel, di non incontrare nemmeno i leader europei del G20. In sostanza gli Stati Uniti, per la prima volta, sono costretti a battere in ritirata preventiva per evitare di essere suonati dalla Germania. Brutta batosta per Obama che adesso dovrà rispondere dell'insuccesso di Los Cabos davanti alla folta platea elettorale americana che, il 4 novembre, è chiamata alle elezioni presidenziali e il malcontento, nei suoi confronti, aumenta. Esultano i leader dei paesi emergenti, la Presidente Argentina Cristina Kirchner, il Presidente Brasiliano Dilma Rousseff, il leader cinese Hu Jintao e il premier indiano Manmohan Singh, i cui Paesi sembrano non risentire eccessivamente della crisi e non hanno dovuto "sborsare" nulla ai più sfortunati né in termini economici né in termini politici. Fino a qui l'insuccesso di Los Cabos. A Rio non se la passano meglio, con la differenza che l'Onu è riuscita ad organizzare l'ennesima passerella per alcuni discutibili leader, con la scusa di un convegno (sul clima) che non ha permesso di raggiungere alcun accordo concreto. Lo dicono le associazioni ambientaliste che hanno protestato per le strade della metropoli brasiliana mentre sul palco delle autorità Raul Castro cedeva il posto di relatore al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Assenti tutti i grandi leader della terra tornati a casa dopo il G20 messicano. Ma cosa è stato deciso? Nulla. Si sono rinnovate le buone intenzioni manifestate venti anni fa ma si rimanda da qui al 2015 l'assunzione di ogni decisione in merito alla riduzione delle emissioni nocive. Los Cabos e Rio dimostrano che anche i vertici internazionali sono ormai stati contagiati dalla stagnazione dei mercati.

MARIA RIZZOTTO

Fornero contro tutti/ Ecco perchè la posizione del Ministro è inaccettabile



ROMA - La retorica dello Stato-Azienda era sufficientemente fastidiosa ai tempi del governo di Mediaset (o, se preferite, di Berlusconi), ma Elsa Fornero vuole riproporcela in salsa stalinista, con tanta voglia di epurazione. Così ha dovuta subirla il Direttore Generale dell'Inps, Mauro Nori, alla pubblicazione dei dati riguardanti la questione degli esodati. Sono stati battezzati “esodati” i lavoratori che avevano stipulato accordi aziendali per l'allontanamento anticipato dal posto di lavoro (per agganciarsi in seguito alla pensione), e che invece, all'approvazione della riforma delle pensioni (nel decreto Salva-Italia) si trovano senza stipendio né pensione per un periodo di 5/6 anni. Fin dall'approvazione del decreto, si è dibattuto sul numero di questi lavoratori. Poca chiarezza è stata fatta finché non sono state approvate misure per la salvaguardia di un numero di lavoratori pari a 65.000. Sarebbe questo il numero degli esodati? Non propriamente. E’ bastato attendere la pubblicazione di un documento dell'Inps, firmato da Nori, per avere il dato completo: sono salvaguardati con lo stanziamento dettato dal decreto in 65.000, ma su un numero totale di 390.200!
Ed ecco che il dibattito si riaccende. Abbiamo accettato il governo Monti per buttare acqua sul fuoco ed ecco che si lancia l'intera tanica di benzina. Per la Cgil la questione degli esodati è una minima parte di una riforma iniqua, per la Cisl la Fornero mente, la Uil aspetta risposte. Aspetta e spera. Che la Fornero menta non c'è dubbio, che la riforma del lavoro sia ridicola si tratta di opinioni, che sottoscrivo. Tra tutti i dati e le opinioni, comunque, Fornero ne riconosce solo alcuni: i suoi. Gli esodati sono 65.000, poche storie. Poco importa, infatti, che l'Inps sia l'istituto di riferimento e che quei dati fossero a sua disposizione da tempo: la pubblicazione per il Ministro è da bollare come atto “improprio” e “deresponsabilizzante” (alla faccia di anni di belle parole sull'open-data e degli annunci eccezionali in proposito alla vigilia del decreto semplificazioni), aggiungendo che “se si fosse in un settore privato, ci sarebbe da riconsiderare i vertici”. Qui, oltre ad una questione di merito, vi è una importante questione di metodo: ci sono frasi che non si possono accettare! Se qualche tempo fa il lessico (molto fantasioso, bisogna dire) e il discutibile approccio alla stampa del Ministro poteva essere valutato come dettato dall'inesperienza e dall'ingenuità di chi alla politica era stato estraneo, ora quell'atteggiamento va considerato come dettato da una volontà consapevolmente falsificatrice.
Tanto incredibile quanto folle è essere entrati in questo acceleratore di particelle che piega tutti al pensiero unico montiano: alla finanza ed ai suoi interessi bisogna piegare lo Stato, la Democrazia, la verità (se vogliamo). In caso contrario, il baratro.
Un atteggiamento che però ha la copertura del potere forte più forte di tutti: l'informazione. Manco a dirlo, Repubblica e il Corriere della Sera, che si stracciavano le vesti (a parere di chi scrive, giustamente) per Tremonti e Berlusconi che nascondevano la crisi sotto il tappeto, non fiatano di fronte al comportamento autoritario di Fornero. Pare che i “poteri forti” non solo c'abbiano imposto di non avere un governo eletto, ma anche di non avere un'opposizione (nessuno consideri opposizione il becero populismo di Di Pietro e della Lega Nord). Non esistono regimi non democratici che facciano bene il loro lavoro. Per questa ragione il diritto di essere all'opposizione è una doverosa difesa degli spazi di democrazia nel nostro paese. Questa regola generale, si traduce nella critica dell'azione quotidiana di governo. Anche nella faccenda degli esodati.
E tornando alle parole del Ministro, si badi bene: in una liberaldemocrazia è diritto dei cittadini, che pagano le tasse, avere i dati che riguardano l'amministrazione delle casse pubbliche. A maggior ragione, poi, quando si parla di drammi sociali come quello di chi si trova senza lavoro e senza pensione. Improprio e deresponsabilizzante è nascondere quei numeri, madame Fornero.

SALVATORE FAVENZA

L'ultimo Faraone se n'è andato ma in Egitto resta il caos


IL CAIRO - L'agenzia Mena ha comunicato al mondo che l'ex Presidente egiziano Hosni Mubarak, recentemente condannato al processo per le violenze durante la recente rivoluzione, è morto. In realtà sarebbe morto e il condizionale è d'obbligo. Sulle sorti dell'ex Rais è mistero più totale. Secondo la Mena sarebbe morto. Altre fonti interne al Paese Africano parlano di un Mubarak caduto in coma irreversibile. Altri ancora hanno comunicato che sono solo falsità. Gli ultimi parlano di morte clinica. Mentre la confusione della stampa internazionale regna sovrana, prosegue il caos interno all'Egitto. Mubarak è diventato Presidente della Repubblica Egiziana subito dopo la morte di Anwar Al Sadat, ucciso durante una parata da un gruppo di militari estremisti contrari alla politica di pacificazione con Israele avviata dal Generale. Mubarak non era uno sconosciuto, nè tanto meno un parvenue. Nato nel 1928 scelse la carriera militare nell'Aeronautica egiziana entrando nello squadrone bombardieri dopo aver ottenuto un diploma in scienze militari e un secondo in scienze aeronautiche. Il completamento del suo addestramento venne in Kyrgyzstan, all'epoca parte dell'Impero Sovietico alleato dell'Egitto di Nasser contro l'imperialismo "giudaico-americano". Tanto apprezzato in Unione Sovietica da diventare, nel 1964, capo della Delegazione Militare Egiziana presente entro i confini del colosso asiatico. La sua ascesa ai vertici dell'aeronautica egiziana fu rapida grazie ai tanti conflitti. Nel 1967 ottenne la carica di Capo di Stato Maggiore delle forze aeree, nel 1972 quella di Comandante e vice Ministro della Guerra, l'anno successivo divenne Maresciallo dell'Aria e nel 1975 entrò al Governo diventando il vice del Generale Sadat. Dismise i panni militari solo nel 1981 quando, a seguito dell'assassinio di Sadat venne nominato presidente della Repubblica e leader del Partito Nazionale Democratico, cariche che ha mantenuto per trent'anni fino al 2011 quando le rivolte della cosiddetta primavera araba, non lo hanno costretto alle dimissioni. Come Presidente della Repubblica ha fatto dell'Egitto la potenza araba più vicina a Israele, pacificando il Sinai e il confine di Gaza e stringendo forti legami politici ed economici con Stati Uniti e Unione Europea pur non abdicando mai al forte ruolo all'interno del mondo arabo. Percorrendo la strada cominciata da Sadat (che ruppe con i sovietici per approdare all'occidente) anticipò le scelte di numerosi altri Stati arabi i quali, stremati da decenni di sconfitte che avevano visto soltanto allargare il territorio di Israele, decisero di passare alla pace e alla diplomazia. Basterà ricordarsi delle virate politiche di Giordania, Libano e Arabia Saudita che hanno costretto il leader dei palestinesi Arafat, tra la fine degli anni '80 e l'inizio del nuovo millennio, a rivedere la propria posizione oltranzista a causa di mancanza di alleati esterni. La politica di Mubarak divenne l'esempio per i medio orientali tanto che nel 1989, a maturazione politica generale avanzata, l'Egitto rientrò nella Lega Araba (da cui era stata espulsa proprio a seguito della firma del trattato di pace con Israele) e la sede della stessa organizzazione internazionale rientrò al Cairo. La pacificazione fu l'obiettivo di Mubarak anche all'interno del Paese. Dopo le persecuzioni ai cristiani copti durante la presidenza di Sadat, che costrinse il pontefice Shenuda III all'esilio in monastero, nel 1985 il nuovo leader egiziano lo richiamò al Cairo. Mubarak si è servito in modo spudorato dei Fratelli musulmani, il gruppo filoislamico oltranzista che era stato messo fuori legge dai predecessori del Rais e che divenne invece una componente essenziale del "gioco autoritario" del nuovo presidente. L'Egitto è stata una democrazia non pienamente compiuta come tante altre del mondo mediorientale. Lo stesso concetto di democrazia assume tutt'altro valore nel mondo islamico dove il modello occidentale ha preso piede negli ultimi anni soprattutto tra i giovani grazie ai nuovi mezzi di comunicazione globale e ai social network. Il partito democratico nazionale ha mantenuto il controllo sulla società egiziana per decenni ma Mubarak consentì e tollero la presenza di opposizioni politiche, tra cui quella dei fratelli musulmani i quali, rifiutando la lotta armata fin nel loro programma, hanno svolto, negli anni del Regime, la funzione di cerniera tra le istituzioni e le forze di opposizione, togliendo "materiale umano" ai gruppi violenti. La presenza di un gruppo estremista ha permesso a Mubarak di giustificarsi con i suoi elettori e con i suoi partner internazionali per i provvedimenti temporanei lesivi delle libertà fondamentali approvati tutti in nome del contenimento dell'estremismo islamico. Tutto è andato per il meglio fino al 2001. La lotta al terrorismo globale seguita agli attentati di New York ha portato alla rottura di quell'asse Usa-Egitto-Israele attorno cui si era abituato il medio oriente. Mubarak nel 2003 si dichiarò fortemente contrario alla guerra a Saddam Hussein (nel 1991 aveva partecipato direttamente al conflitto con gli americani) e rilanciò contemporaneamente la grande questione dei negoziati israelo-palestinesi così come è stato pronto a smarcarsi da ogni tentativo dell'amministrazione repubblicana americana di ipotecare un conflitto con la Siria di Assad. Non a caso fu ben lieto dell'elezione alla Casa Bianca di Barack Obama nel 2008 e con gioia lo accolse al Cairo dove il nuovo Presidente Usa tenne, all'università, il celebre discorso sulla democrazia che molti considerano il punto di partenza della primavera araba, la serie di rivolte che avrebbe condotto alla caduta del regime egiziano. Alla fine del 2010 l'Egitto di è infiammato. A gettare benzina sul fuoco la crisi economica internazionale che ha danneggiato le economie deboli del Nord Africa mettendo in difficoltà tutti i leader che, uno dopo l'altro, sono stati costretti alle dimissioni. Ben Alì, lasciato il potere è partito per l'esilio in Tunisia, Gheddafi ha subito l'invasione occidentale ed è stato ucciso durante la guerra. Mubarak, l'11 dicembre 2011 dopo una ventina di giorni di scontri in piazza Tahir, si dimise. L'ultimo faraone egiziano, la cui salute già era in condizioni precarie, scelse di non espatriare confidando, forse, nella mediazione dei militari che avrebbero ancora potuto riportarlo al potere. Invece i militari sostennero le rivolte e dal buen retiro di Sharm el Sheik gli agenti del governo provvisorio hanno provveduto ad arrestare l'ex Rais. Durante gli arresti Mubarak era stato colto da due infarti e aveva trascorso diversi mesi in terapia intensiva. Costretto ad assistere al processo si era fatto difendere e aveva pianto. Il 2 giugno, per gli scontri di Piazza Tahir, è stato condannato all'ergastolo. Il 20 sarebbe morto. La morte del Presidente non salva l'Egitto che si ritrova, a distanza di un anno e mezzo dalla caduta dell'odiato tiranno, con un Parlamento delegittimato dai militari e senza un Presidente dopo le recenti elezioni che, pur avendo visto il successo elettorale dei fratelli musulmani, non sono state convalidate dalla giunta militare che, di fatto, gestisce l'Egitto. Dopo il giudizio terreno a Mubarak non resta che aspettare il giudizio della storia.

FRANCO SELVAGGI

martedì 19 giugno 2012

L'EDITORIALE/ Quel voto che non vogliono leggere in modo corretto


ATENE - Sostenere che l'Europa è salva perchè i greci hanno responsabilmente scelto di restare nell'euro è una doppia falsità. Il voto di domenica non era un referendum pro e contro l'euro ma la scelta politica per decidere chi dovesse governare il Paese. Spacciare la vittoria numerica di Nuova Democrazia come l'arrivo del bengodi e della tranquillità economica e sociale è un'altra falsità. Lo dicono i numeri. Nuova Democrazia ottiene il 29,6% dei consensi a fronte del secondo partito fermo al 26,5% di Syriza, la coalizione delle sinistre erroneamente definite radicali. Nuova Democrazia ottiene la maggioranza dei deputati grazie al supporto imprescindibile del Pasok, il partito socialista, la sinistra greca per eccellenza, che negli ultimi 40 anni ha conteso proprio alla destra di ND, il controllo del Governo. Il Pasok è un partito ormai morto, una sorta di Popolo delle Libertà ellenico. Aveva stravinto le elezioni sotto la guida di George Papandreou nel 2009 ottenendo il 43% dei consensi e oltre 170 deputati. Oggi il Pasok è l'ombra di sè stesso con l'11% e meno di 40 seggi in Parlamento. Eppure quel partito fallito sosterrà il Governa della destra di Antonio Samaras che vuole, a tutti i costi, rispettare gli impegni con l'Unione Europea. Non potrebbe fare altrimenti visto che la Merkel, appena arrivata al G20 ha subito messo le cose in chiaro: nessuna revisione al ribasso delle misure di austerity per la Grecia. Il che si traduce in altre lacrime e sangue per il piccolo paese dei Balcani. Ma torniamo proprio ad Atene dove una informazione fasulla ci ha fatto sapere che i greci hanno scelto l'euro e l'Europa. Le forze combinate di Nuova Democrazia e Pasok danno un risultato del 41% mentre le forze anti euro, rappresentate da Syriza (al 26,5%), dalla destra conservatrice (al 7,5%), da Alba Dorata (che rientra in parlamento con il 7% dei voti), dal partito stalinista (5%) sono al 47%. Ovviamente è impensabile che si ritrovino a governare insieme stalinisti e Syriza o neonazisti e conservatori ma è indicativo che la maggior parte dei greci non considera credibile la ricetta dell'austerità proposta da Berlino e avallata dal nuovo Premier in pectore Samaras il quale dovrà riuscire, nel giro di pochissime settimane,  svolgere un lavoro impossibile. Agli inizi di luglio le casse greche saranno vuote e per essere rimpinguate dalla Bce dovrà approvare una serie di riforme micidiali per il popolo e per i poteri forti che hanno governato la Grecia negli ultimi 30 anni e hanno controllato, come burattinai, proprio Pasok e Nuova Democrazia. In pratica i responsabili del disastro dovrebbero risolvere il problema. Non ci riusciranno. I mercati lo sanno e, non a caso, nel lunedì post voto, tutte le borse sono cadute mentre lo spread è risalito a 460. Noi ce ne accorgeremo nel giro di 4 mesi. L'estate sarà calda ma si annuncia un autunno rovente per la Grecia e per l'Europa. 

ROBERTO DELLA ROCCA

De Magistris perde i pezzi, Narducci sbatte la porta e se ne va

Giuseppe Narducci

NAPOLI - Alla fine è successo. Giuseppe Narducci, magistrato e assessore alla Sicurezza del Comune di Napoli ha rassegnato le dimissioni. Erano almeno due settimane che le voci si rincorrevano nei corridoi di Palazzo San Giacomo dove si è detto di tutto. Rapporti tesi con il Sindaco, Luigi De Magistris, che aveva puntato tutto su Narducci fin dall'inizio. Contrasti personali. Scelte politiche divergenti. Rifiuto di acconsentire a certe nomine. Tanti i sospetti, poche le certezze. Il profilo di Giuseppe Narducci è autorevole. Magistrato impegnato in prima linea contro la criminalità asceso agli altari delle cronache per il suo ruolo di Pubblico Ministero nel processo Calciopoli, è stato contattato da De Magistris proprio per il suo impegno sul fronte della lotta alla criminalità. A lungo andare il rapporto tra i due si è logorato sempre più. A contribuire sarebbe stato l'attivismo del Sindaco e la scarsa disponibilità del primo cittadino partenopeo a confrontarsi con chi non la pensa esattamente come lui. Tutte illazioni secondo il Sindaco che respinge al mittente le critiche e ha incassato la lettera personale con cui Narducci ha voluto annunciare le sue dimissioni. Scherzando, almeno si spera, De Magistris avrebbe proposto al cantante emiliano Ligabue di occupare la casella lasciata vuota da Narducci. I politicanti non hanno preso bene le dimissioni dell'assessore. La maggioranza fa quadrato attorno al Sindaco ma si rammarica, e non poco, per la scelta di Narducci di lasciare soprattutto per la sua capacità di tenere a freno l'esuberante primo cittadino. L'unico che non ha espresso particolari rimpianti è stato il responsabile comunicazione del Partito Democratico Francesco Nicodemo che ha subito colto la palla al balzo invitando il Pd ad entrare in giunta e sostenere il Governo De Magistris. Non a caso, proprio ieri pomeriggio il Sindaco avrebbe dovuto incontrare una delegazione del Partito Democratico e l'agenda segnava temi di stretta attualità politica soprattutto in vista delle elezioni del prossimo anno. Incontro prontamente annullato per evitare di dare il segnale di un inciucio in grande stile con il morto ancora caldo. Fatto sta che la grana Narducci arriva a distanza di poco tempo dalla rimozione di Raphael Rossi, potente ex capo dell'Asia (agenzia della nettezza urbana) proprio a causa di contrasti sorti a causa di nomine non condivise, e getta un'ombra sul governo cittadino a un anno dall'insediamento. Le forze della maggioranza che continuano a sostenere il primo cittadino si dichiareranno certamente contro l'apertura al Pd che potrebbe essere imposta solo da De Magistris e solo se, a livello nazionale si concretizzasse l'alleanza di Vasto tra Pd-Sel e Idv, fatto non ancora certo, a dimostrazione che gli equilibri politici nazionali passano, ancora una volta, per Napoli.

ETTORE ALMERI

domenica 17 giugno 2012

Le minacce velate di Lusi in attesa del voto del Senato


ROMA - Il sempiterno Roberto D'Agostino sul suo dagospia.com lo aveva annunciato fin dall'inizio quando, seguendo il caso Lusi (ribattezzando tutta l'operazione come "Lusi e collusi") aveva profetizzato che lo scandalo dei fondi di partito finiti nelle casse private del tesoriere della ex Margherita (e, secondo molti, non solo nelle sue) avrebbe finito col distruggere il centrosinistra. Bene, quella previsione prende corpo a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Lusi a Sky tg24 dove l'ex tesoriere ha, neanche tanto velatamente, minacciato i suoi colleghi deputati. "Se vado in galera ho un'idea per rendermi utile al Paese. Ne parlerò a suo tempo con i magistrati". Non si sa bene come interpretare la frase di Lusi ma molti già si domandano se mettere in gabbia un centinaio di parlamentari costringendoli alle dimissioni sia un piacere al Paese. Per ora, nel tritacarne Lusi ci sono finiti in due, Francesco Rutelli, Segretario della Margherita, e Matteo Renzi, oggi Sindaco di Firenze e principale competitor interno di Pierluigi Bersani per la conquista della segreteria del Partito Democratico. Nei giorni scorsi sono circolati altri nomi, in primis quelli di Rosy Bindi, Enrico Letta e Giuseppe Fioroni, alti papaveri della Margherita che, secondo molti, non avrebbero potuto non sapere. Fino ad oggi Lusi non si è lasciato andare ad altre dichiarazioni e probabilmente non lo farà fino a mercoledì quando il Senato si pronuncerà sulla richiesta d'arresto avanzata dalla Procura di Roma. Secondo Lusi non ci sono le condizioni perché non ci sarebbero i rischi di reiterazione del reato, fuga e inquinamento delle prove. Il voto di mercoledì potrebbe portare all'arresto ma se le dichiarazioni di Lusi fossero una velata minaccia allora si potrebbe anche arrivare ad una opposizione del Senato all'arresto. In quel caso sarebbe tutto molto più chiaro...

ETTORE ALMERI

Il Giornale del Sud sbarca in Calabria. Appuntamento a Vibo Valentia il 22 giugno


VIBO VALENTIA - Si svolgerà venerdì 22 giugno 2012 alle ore 17.30 presso il Polo Culturale Santa Chiara di Vibo Valentia la presentazione del nuovo numero de il Giornale del Sud. La testata, sbarca per la prima volta in Calabria grazie all'operato di Michele Furci, storico e collaboratore della rivista nonchè Presidente del Movimento dei Paesi e dei Quartieri che da anni lotta per restituire al popolo meridionale la sua dignità. Sarà presente il Direttore Responsabile Roberto Della Rocca. Grande l'attesa per l'evento a cui parteciperà anche il Direttore del Quotidiano Calabria Ora, Piero Sansonetti, giornalista noto ai più per aver già diretto Liberazione e per le tante battaglie che sta portando avanti in difesa della Calabria. A coordinare i lavori sarà Gilberto Floriani, Direttore del Sistema Bibliotecario Vibonese che ospita l'evento. Un appuntamento da non perdere che mette al centro il Sud e il suo futuro.

Quosque tandem abutere, Monti, patientia nostra?


ROMA - "Quosque tandem abutere, Monti, patientia nostra?" proferirebbe l'integerrimo Cicerone nell'aula del Senato se calpestasse oggi questa terra. Perchè veramente abbiamo superato il limite della decenza. Il Presidente del Consiglio Mario Monti è riuscito a superare in sol colpo 15 anni di barzellette della politica con l'ultima storiella sul baratro che ci insegue. L'uomo della Bce, sceso sul pianeta Italia per salvare il popolo gaudente dalla catastrofe economica ha trovato un paese sull'orlo del baratro e, secondo la sua personale interpretazione, lo ha salvato allontanandosi (pure parecchio) dal ciglio del burrone. Sfortuna delle sfortune, il cratere si è allargato. Nella definizione montiana "la voragine insegue l'Italia". Proprio così. Incapace di giustificare l'operato del governo più assurdo che questa repubblica delle banane abbia mai avuto, il Premier si è inventato la storiella della voragine che insegue il Paese. Una volta ci avrebbe scandalizzato il silenzio generale dell'opinione pubblica e della stampa ma, dopo 7 mesi di silenzio generale sull'operato fallimentare di Monti, non ci stupisce più. Ci chiediamo però, per quanto tempo ancora Monti abuserà della nostra pazienza.

La Grecia al voto. Il domani comincia stasera!


ATENE - Din, don, dan. Suona la campana per la Grecia e per l'Europa. L'ultima, probabilmente, circostanza che ci fa credere che da domani l'Europa potrebbe essere completamente diversa da oggi. La Grecia è un malato terminale chiamato alle urne per la seconda volta in tre mesi. L'Europa non se la passa meglio e il risultato di queste consultazioni elettorali rischia di far rovinosamente cadere il gigante europeo. Ne sono consapevoli tutti gli attori della politica internazionale, non solo gli europei. Dall'America alla Cina gli occhi sono puntati su Atene. E' dal 1828, anno in cui il piccolo paese ottenne l'indipendenza dopo secoli di battaglie contro i turchi ottomani, che la Grecia non era al centro della ribalta mondiale. Oggi è il giorno del cambiamento. I sondaggi danno in vantaggio la sinistra radicale di Syriza, guidata dal giovane Alexi Tsipras, che avrebbe ormai superato Nova Demokratia, la destra moderata di Antonis Samaras. Questo dato, vedremo tra poche ore quanto veritiero, non risolverà il problema ma dovrebbe consegnare la Grecia all'anarchia. Nessuna delle formazioni politiche è sicura di ottenere i voti necessari a governare. Il governo tecnico è improponibile. La grande coalizione ha già fallito. Le ambizioni di un popolo frustrato non aiutano. I Greci sanno di essere la radice di tutta la cultura occidentale. Sanno bene che l'Europa del 2012 deve alla piccola Grecia tutta la grandezza passata in ogni settore dello scibile umano ma, nonostante questa tradizione antica, oggi la Grecia viene vista con sospetto proprio dall'Europa. La vittoria di Syriza porterà all'uscita di Atene dall'euro e, probabilmente, dall'Unione. A quel punto tutte le strade saranno aperte. La Grecia non pagherà il suo debito pubblico e dichiarerà bancarotta ripartendo da 0 così come ebbe a fare, a suo tempo, l'Argentina il cui Pil oggi corre all'8% l'anno. Gli esiti della rinuncia all'Europa potrebbero essere positivi ma diventa fondamentale, a questo punto, saper gestire la crisi. Il problema del momento non è la sinistra radicale di Tsipras che in altri tempi sarebbe stato cacciato di veterocomunismo, ma la crescita esponenziale delle estreme, soprattutto della destra nazionalista di Alba Dorata il cui leader ha aizzato le folle contro lo storico nemico turco. Nikolaos Michaloliakos, questo il suo nome, vuole minare i confini della Grecia, fermare l'immigrazione, conquistare Costantinopoli e la costa egea della Turchia. Storie vecchie, che ricordano i tristi anni '20 in cui la guerra greco-turca rischiò di trascinare l'Europa nel baratro. La vergognosa rissa scatenata da un suo deputato in televisione, dove ha alzato le mani su due colleghe parlamentari, non ha intaccato la corsa di Alba Dorata, anzi. La Grecia machista ha visto nel partito nazionalista la vera soluzione e i sondaggi dicono che potrebbe crescere ancora la soglia di consenso che si era attestata già sopra il 6%. Samaras, leader conservatore, è troppo moderato per frenare la ventata nazionalista e, allo stesso tempo, troppo di destra per recuperare voti dal partito liberale greco che, seppur ridotto nei numeri, potrebbe togliere a Nova Demokratia quei consensi del centro che impedirebbero a Samaras di superare Tsipras. Quest'ultimo non soffre della divisione nel suo campo, quello della sinistra, dove gli oltranzisti stalinisti si sono isolati e dovrebbero sparire dopo il buon risultato del mese scorso, e dove il Pasok, sceso dal 40 al 18%, nei sondaggi è calato ancora fino al 10%. Fino a qui la complessa situazione. Oggi si vota e, già da stasera, sapremo che vento soffia sull'Europa in declino.

FAUSTO DI LORENZO

giovedì 14 giugno 2012

L'EDITORIALE/ In arrivo il "Fallimonti!". Ecco perchè, nonostante tutto siamo soddisfatti


CASERTA - Il Governo Monti è arrivato al capolinea. Potrà anche sopravvivere alle raffiche di votazioni Parlamentari ma politicamente (o forse sarebbe più corretto dire tecnicamente) stiamo parlando di una esperienza fallimentare. A questo argomento abbiamo deciso di dedicare l'apertura del prossimo numero del Giornale del Sud, proprio per dare voce all'opposizione crescente a questo Governo e alla fallimentare gestione politica dell'esperienza Monti. Nonostante questo come direttore responsabile di questo giornale non posso, in questo momento, non rallegrarmi per l'attenzione che viene dedicata alla nostra iniziativa editoriale. Da un lato l'apprezzamento dei lettori, giunti ormai alle 20mila presenze sul nostro blog, dall'altro lato l'interesse degli altri soggetti dell'informazione. Il nuovo numero è stato presentato in anteprima su Italiamia dove ho avuto il piacere di essere ospite del giornalista Gaetano Buonomo con il quale abbiamo avuto modo di parlare del nostro amato Sud, e avrò l'occasione di confrontarmi con il Direttore di Calabria Ora Piero Sansonetti (già alla direzione di Liberazione) sugli stessi argomenti a Vibo Valentia il 22 giugno. Non è cosa da poco. Questi interessanti sviluppi accompagnano il lavoro costante che svolgiamo a contatto con la dura realtà quotidiana. E' partito, mercoledì 13 giugno, il primo stage di giornalismo che il Giornale del Sud ha organizzato con il Centro Studi e Alta Formazione dei Maestri del Lavoro d'Italia (con il patrocinio morale dell'Ordine dei Giornalisti della Campania e della Federazione Nazionale della Stampa) e che vede coinvolti una decina di alunni del Liceo Manzoni di Caserta, intenzionati a conoscere il mondo del giornalismo. Una opportunità in più per i giovani di avvicinarsi alla professione giornalistica. Questi successi mi consolano e fanno felice l'intero gruppo di lavoro de il Giornale del Sud che ha raggiunto l'obiettivo di fare una corretta informazione. Gli apprezzamenti dei meridionali liberi ci spinge a migliorarci sempre di più ed è per questo motivo che non soltanto il Giornale del Sud rinnova il cartaceo, aumentando le pagine con una nuova grafica e un nuovo formato che starà ai lettori giudicare, ma è pronto ad abbandonare la formula del blog per approdare alla nascita di un vero e proprio sito di informazione (www.ilgiornaledelsud.net) che, quotidianamente, offrirà ai propri lettori tutte le informazioni sul nostro Sud. Non riceverete più le notizie attraverso la mailing list (che resterà attiva per comunicare gli eventi organizzati o che coinvolgono la testata) ma potrete collegarvi direttamente al sito per essere aggiornati sul tutto quello che succede. Siamo davanti ad una svolta epocale. Restate con noi.

ROBERTO DELLA ROCCA

"Faccia tosta campaje, faccia moscia murette", è quella di Monti è davvero "tosta"!


ROMA – Ce ne vuole di faccia tosta. Il Premier Mario Monti ha respinto al mittente le critiche del ministro delle Finanze austriaco, Maria Fekter. Il Presidente del Consiglio non vuole saperne di aiuti dell’Europa e ritiene che l’Italia possa ancora farcela da sola. Questo almeno pubblicamente. Il problema è che non tutti, nell’Europa in crisi, la pensano allo stesso modo. Secondo molti l’Italia, come la Spagna, dovrebbe inginocchiarsi davanti alla Banca Centrale Europea. Monti non vuole e annuncia la (s)vendita del patrimonio pubblico italiano, fatto che ha suscitato i clamori di numerosi amministratori locali che temono di essere colpiti dalla mannaia della vendita ad ogni costo. Vendita che, è bene saperlo, non risolverà il problema del debito pubblico che la Banca d’Italia ha certificato essere arrivato all’astronomica cifra di 1.948,584 miliardi di euro, due miliardi e mezzo in più rispetto al precedente record storico segnato a marzo. Quello che maggiormente stupisce è stata la presa di posizione di Monti relativamente alle critiche europee. Il Premier ha parlato di ingerenza “esterna” e di attacco all’Italia. “Faccia tosta campaje, faccia moscia murette” dicono a Napoli. Proprio lui lamenta l’ingerenza esterna? Il professore universitario che è diventato Presidente del Consiglio grazie ad una lettera di raccomandazione della Banca Centrale Europea? Sì proprio lui. L’omino grigio in abito scuro ha cacciato la faccia tosta e ha attaccato i poteri che lo hanno insediato sul trono di Palazzo Chigi. Il vero dramma è che non tutti hanno colto questo non senso, fatto che lascia molto pensare circa la maturità politica degli italiani… e non solo su quella.

MARIA RIZZOTTO

Respingimenti, l'accordo che Monti non vuole rendere noto



ROMA - "Tripoli, bel suol d'amore" era la canzone che 100 anni fa veniva cantata a più non posso per inneggiare la conquista della Libia in corso. A distanza di un secolo non si canta più ma con i libici si fanno affari e accordi. Ci avevano abituato sia Prodi che Berlusconi agli affari e agli accordi con il "simpatico" vicino, il Colonnello Muhammar Gheddafi, ma, stando alla denuncia di Amnesty International, organizzazione che regge le fila del movimento di controllo sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, anche il Governo tecnico non fa eccezione a questa prassi. La differenza sta nella sobrietà con cui Mario Monti avrebbe autorizzato il Ministro degli Interni Annamaria Cancellieri a sottoscrivere un protocollo di Intesa con il Consiglio Nazionale di Transizione libico sulla questione dei migranti. L'accordo, firmato il 3 aprile e rimasto segreto per volontà del Governo Monti, è stato svelato da Amnesty che, probabilmente, ne ha avuto contezza da fonti d'oltre mediterraneo. Il rapporto pubblicato a Bruxelles ha titolo "Sos Europe" e riguarda i controlli in materia di immigrazione sui diritti umani. L'accordo tra l'Italia post Berlusconiana e la Libia post Gheddafiana prevede di limitare il flusso dei migranti. La visita della Cancellieri a Tripoli non era passata inosservata visto che lo stesso Ministro, accolto dal leader del governo provvisorio Mustafa Abdul Jalil, era stato causa elle preoccupazioni di Amnesty che aveva scritto alla Cancellieri facendole presente che lo sviluppo degli accordi tra Italia e Libia dovevano tenere conto della drammatica situazione del paese. La Libia, liberatasi dal tiranno, stenta a trovare la pace. La giustizia di regime ha lasciato spazio alla giustizia sommaria. Dalla morte di Gheddafi i sostenitori dell'ex rais vengono quotidianamente bersagliati, arrestati, arrestati e assassinati, nonostante la paventata pacificazione auspicata dal governo provvisorio che, composto anche da ex ministri gheddafiani, non ha mosso un dito per fermare le violenze. Al caos libico si aggiunge la questione dei migranti sub sahariani, provenienti dall'Africa centrale e meridionale e che trovano, in Libia, il principale punto di partenza per il loro viaggio della speranza verso l'Europa. Migliaia di persone che si riversano in un paese in crisi, in un clima di guerra, in condizioni disperate. Secondo Amnesty questi potranno essere respinti quando, una volta imbarcatisi dalle coste libiche arriveranno in acque italiane. Questo il contenuto del protocollo. Storia vecchia quella dei respingimenti. Resta una domanda. Perché silenziare l'opinione pubblica? Facile la risposta. Come giustificherebbe l'adozione di un provvedimento simile verso forze politiche che sostengono il Governo e che, nel recentissimo passato, si sono dichiarate contrarie ai respingimenti? Pensare che il Pd di Bersani e l'Udc di Casini possano benedire la politica dei respingimenti è strano. E cosa dire dell'Unione Europea che negli anni scorsi ha tempestato di raccomandate e lettere di denuncia il Governo italiano quando si mise d'accordo con Gheddafi per respingere i migranti. Per il momento il Governo tace. Nè Mario Monti nè Annamaria Cancellieri si sono espressi sulla denuncia di Amnesty. Tacciono anche i politici e tace anche l'Europa. Forse è vero che la sobrietà fa la differenza. Anche nei respingimenti.

FAUSTO DI LORENZO