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mercoledì 1 agosto 2012

L'EDITORIALE/ L'Ilva, quando la lotta è dura. Ma non contro il padrone


TARANTO - L'Ilva è il centro siderurgico ex-Italsider, di proprietà del Gruppo Riva, leader del settore in Italia, e quarto in Europa. Come si sa, la presenza dell'Ilva, che è nata all'inizio del novecento, ha reso Taranto una delle città più inquinate d'Europa. “Meglio morire, forse, di tumore che sicuramente di fame” è probabilmente ciò che si son detti gli 8mila operai dell'Ilva di Taranto che hanno manifestato contro il sequestro disposto dal Gip Patrizia Todisco. La chiusura dell'area a caldo interesserebbe, infatti, contando l'indotto, 20mila famiglie. Ma torniamo indietro di qualche giorno: il 26 Luglio, mentre si teneva a Roma, presso il Ministero dell'Ambiente, un vertice che stabiliva una Road Map per un risanamento dell'Ilva che non incidesse sulla produzione, viene disposto dal Gip Todisco il sequestro degli impianti, poiché, secondo le indagini epidemiologiche, l'Ilva causerebbe «malattia e morte». Contestualmente, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini dichiarava al Sole24Ore in un’intervista che il giudizio sui rischi connessi all'Ilva andava “attualizzato”. La strada intrapresa dal Governo per quanto riguarda la questione dell'Ilva è stata sempre all'insegna della prudenza: chiudere l'area a caldo di Taranto significa bloccare l'intero stabilimento e conseguentemente anche gli altri, e cioè quelli di Genova, Novi Ligure, Patrica e Racconigi. È facile dunque capire perché la decisione del Gip abbia dato il via alle grandi proteste che continuano in questi giorni. Ma ci sono delle domande che sorgono naturali quando si esaminano le posizioni dei sindacati di categoria: riassumendo, i sindacati (unitariamente) polemizzano perché viene fermata la produzione. Ecco qui la tanto vecchia quanto irrisolta domanda: “Il sindacato deve tutelare il lavoratore o il posto di lavoro?”. Alla domanda è importante rispondere, perché se la risposta è la prima, allora non ci si spiega perché non abbiano in passato protestato per ciò che i lavoratori, e non solo loro, hanno subìto dall'Ilva: sarebbe a dire l'inquinamento che ha portato un eccesso di mortalità della popolazione tarantina ed un'elevata incidenza di patologie croniche. Ma il fatto è che i sindacati preferiscono salvaguardare il posto di lavoro: nel comunicato unitario (firmato da Fiom, Fim e Uilm) vi è un ringraziamento alla dirigenza dell'Ilva e si auspica che il Tribunale del Riesame garantisca l'operatività degli impianti. E poi ancora: “E' giusto prendersela con le Istituzioni e non con i diretti responsabili, ovvero i dirigenti dell'Ilva?”. Qui la risposta pare sospesa. Per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom/Cgil: “non è vero che cessando le attività si bonificano e si risanano i ceti produttivi” e ancora “vogliamo fare la cosa più difficile cosa che ci sia da fare in questo momento: ovvero continuare le attività per bonificare e risanare anche le aree”. Viene da chiedersi se questo sia davvero lo stesso Landini che se la prendeva con Marchionne, perché non gli somiglia neanche un po'. Fatto sta che il comunicato delle tre sigle confederali  proclama per il 2 agosto una “giornata di lotta” (contro chi? Non si sa.), attendendo il giudizio del Tribunale del Riesame, che, se la pensa come Clini, farà un grave dietrofront. La situazione probabilmente tornerà uguale a prima. Vince il lavoro? La salute (non) ringrazia.

SALVATORE FAVENZA

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